Le Nuove Botteghe Umanistiche

Gli Ambienti di Studio, Progettazione e Sviluppo, dove trasformiamo «oggetti» inerti e irrelati in «strumenti» di metodo per studiare, con la scienza, le soluzioni e le regole della narrazione artistica, per indagare l’architettura di capolavori immortali, per esplorare la rete delle correlazioni tra le innumerevoli varianti di modelli archetipici, e per scoprire i meccanismi narrativi e compositivi condivisi tra opere distanti tra loro nello spazio, nel tempo, e nelle forme espressive.

I Progetti della Bottega Come si diventa Umanisti

I Progetti della Bottega Come si diventa Umanisti

Studiare un autore: I Laboratori dedicati ai maestri del racconto scientifico in forma artistica

Gli autori a cui a cui abbiamo voluto dedicare questo Multi-Laboratorio sono coloro che consideriamo i primi nostri compagni di avventure. Sono coloro che, come noi, hanno dedicato la loro vita non solo a fare scienza e/o arte, ma anche a domandarsi come riuscire a far conoscere la scienza attraverso l’arte, e l’arte attraverso la scienza.
Non si tratta di semplici divulgatori, perché ciascuno di essi si è guadagnato una fama come scienziato o artista che nulla ha a che vedere con quella di appassionato esperto in arte o scienza che taluni giornalisti o critici hanno ottenuto lavorando per i mass media, pubblicando testi divulgativi,  e finendo per essere classificati anch’essi erroneamente come scienziati o artisti da un pubblico impreparato che scambia il fare arte e scienza con il parlarne.
Questi autori-studiosi hanno incontrato delle difficoltà proprio per essersi “abbassati” a parlare, ai non addetti ai lavori, di come si diventa studiosi e autori, e di cosa realmente sia fare arte e scienza, di come cioè si debbano condurre in modo rigoroso attività che solo riduttivamente possono essere considerate «mestieri».
Ognuno di loro ha pagato con un certo disprezzo da parte del mondo accademico quella dedizione all’attività educativa e formativa, nonché alla diffusione della conoscenza, che li ha impegnati nel corso di tutta la vita rendendo più accessibili e comprensibili i «misteri» della loro attività e più in generale del mondo scientifico e artistico. E siccome nessuno di loro ha scelto di diventare un uomo di comunicazione a disposizione dei salotti e dei canali social, nondimeno è stato trattato con sufficienza anche dai massmedia, insoddisfatti di non averlo potuto trasformare in un fenomeno mediatico.
Fare l’artista o lo scienziato fino al secolo scorso era considerata come una scelta di vita iniziatica pari al prendere i voti, non solo perché significava dedicare la vita alla ricerca e allo studio rinunciando ai vantaggi e miraggi di una vita ordinaria protetta dalle credenze e dagli status quo della società di appartenenza, ma anche perché la stessa comunità artistica o scientifica richiedeva di mantenere segreta la ricerca metodologica per non perdere i privilegi derivanti da quella credenza nel «genio inarrivabile e alieno» che continua ancora oggi ad essere proiettata su chiunque giunga ad una scoperta o a un’invenzione.
D’altro canto nessun vero scienziato o artista che abbia condotto fino in fondo le sue ricerche ha avuto vita facile, neppure quando ha ottenuto la protezione di benefattori interessati agli utilizzi dei risultati delle sue ricerche. La vera ricerca (non quella pilotata) non si piega facilmente alle finalità e alle richieste del falso mecenate ma vero committente (come accade oggi con la scienza medica genuflessa all’industria farmaceutica, con l’arte visiva genuflessa al mondo della moda e della pubblicità, e più in generale con l’arte narrativa al servizio delle ideologie dominanti). Gli scienziati e gli artisti che non si sono domandati quali usi e quali applicazioni si sarebbero potute fare delle loro scoperte e invenzioni hanno vissuto una vita piena di rimorsi e rimpianti. Quelli che hanno  imparato ad aggirare o ingannare le censure e le richieste del potere hanno vissuto una vita rischiosa e sempre sul filo del rasoio.
Da sempre gli scienziati e gli artisti hanno formato allievi e collaboratori, ma senza ricorrere a testi promozionali per indurre vocazioni e arruolare nuovi aspiranti scienziati e artisti. Bastavano le loro opere per invogliare, chi avesse il coraggio di fare una scelta di vita tanto radicale, ad entrare a far parte di una comunità necessariamente ristretta per le difficoltà che richiedeva una formazione adeguata per poter passare da ragazzo di bottega, allievo, assistente, a maestro.
Le Botteghe d’arte e i Circoli scientifici, insieme alla trattatistica, hanno fatto molto per dare continuità alla ricerca, per fare in modo che essa non si arrestasse con la scomparsa del maestro, ma anzi continuasse attraverso l’attività degli allievi anche indiretti,  studiosi della loro opera e dei loro scritti a distanza di spazio e tempo.
Ma i costi della sperimentazione, della formazione, della progettazione, prima che della realizzazione, sono stati pagati per secoli dagli ambienti accademici ed ecclesiastici, e da quei potenti che avevano bisogno di accrescere e mostrare il loro potere con i  risultati di quelle ricerche.
Entrare a far parte della cerchia di uno scienziato o di un’artista, oltre a presupporre le conoscenze giuste – proprio come oggi – solo per essere messi alla prova, richiedeva davvero capacità straordinarie, anche per superare la competizione agguerrita di una concorrenza ad altissimo livello, di tanti altri musicisti pittori scultori e scienziati che già lavoravano alla corte dei potenti (pensate a chi veniva selezionato per poter suonare alle corti del Reali francesi) o per uno Stato consumatore vorace di nuovi strumenti, e come tale anche pronto a superare pregiudizi e giudizi rispetto a coloro che arruolava (pensate agli scienziati tedeschi arruolati dagli Stati Uniti, e alla corsa di tutti gli Stati per accaparrarsi le competenze che quelli portavano ai migliori offerenti).
L’era della Comunicazione ha cambiato tutto con lo slogan che “quello che non è detto non esiste”. Non è stato più possibile, neppure per le Istituzioni che avevano un passato illustre, continuare ad avere fondi per la ricerca senza dedicare ancora più tempo a promuoverla, per trasformarla, infine, in una serie infinita di annunci senza fondamenti, di illusorie promesse di facili, rapidi e remunerativi successi immediati, impossibili tanto per l’arte quanto per la scienza.
D’improvviso sono scomparsi non solo i mecenati ma anche quegli imprenditori illuminati che nell’arte e nella scienza vedevano investimenti a lungo temine che ammortizzassero anche gli insuccessi in un mercato impreparato e diffidente verso le novità che la scienza e l’arte portavano.
Rapidamente le Botteghe d’arte si sono trasformate in industria dello spettacolo e dell’intrattenimento (vedi la parabola della Disney), in aziende senza scrupoli che reclutavano o cacciavano i propri artisti in base al successo economico ottenuto e alla benevolenza dei mass media e del pubblico. E le Università a loro volta, per attirare studenti e investitori, hanno cominciato a reclutare quei personaggi il cui successo era stato decretato dalle mode e dal gossip, pronti a cavalcare le richieste del mercato pilotate dal massmedia e disposti a lavorare su progetti guidati dalle richieste del mercato, non certo per cambiare il mercato stesso. Di qui persino un uso spregiudicato dei media per promuovere la ricerca, che a questo punto è diventata solo «applicata»; e i protagonisti, da scienziati e artisti, si sono trasformati in «divi» presenzialisti delle televisioni, dei social e dei magazine, da venerare qualunque cosa facessero, e da inseguire nei loro successi pubblici e privati.
L’arte, snaturandosi, da un lato è stata assimilata alla moda, con tendenze e successi stagionali, da un altro è stata adottata come  mezzo di propaganda, come hanno sempre voluto, senza riuscirci, per secoli, tutti i potenti di questo mondo. E  la scienza, o segue il mercato o non ha fondi per proseguire la ricerca. Gli scarsi fondi rimasti per la ricerca negli ambienti accademici non ne pagano le spese; e i soli modi per ottenere fondi è legarla sin dall’inizio ad «applicazioni» che paradossalmente impediscano, per definizione, di inseguire gli imprevedibili fili della ricerca stessa.
In questo quadro desolante si sono inseriti anche i «divulgatori per professione», editoriale e massmediatica, o per diletto, sulla rete. A loro è affidato il compito di «riscrivere» la storia dell’arte e della scienza in forma di spettacolo, rendendo i suoi protagonisti personaggi da romanzo d’appendice o da soap opera, e illudendo il pubblico impreparato che fare arte e scienza sia questione di “istinto”, di “genio”, e di “determinazione”. Di qui l’idea che ognuno possa scoprire dentro di sé di essere un artista o uno scienziato nato, e possa proclamarsi tale grazie ad un successo stagionale ottenuto con la complicità di followers sui social, di critici/mercanti, e di luminari in vendita o in cerca di parentele remunerative per i loro pargoli.
Ma soprattutto oggi, grazie ai numeri ottenuti dalla vendita di un libro di successo o di un’app di grande impiego, chiunque può dirsi scienziato o artista con il beneplacito dei media e dei social, felici di annunciare che un altro self-made man ce abbia fatta evitando l’inutile formazione che per secoli ha angustiato chi, senza di essa, ha dovuto rinunciare ad aggiungere al proprio nome il titolo di artista o scienziato.
Negli ultimi decenni ogni Istituzione ha trasformato le proprie discipline in “scienza” o “arte” di qualcosa, e ogni uomo di spettacolo è stato chiamato a dispensare le proprie opinioni al mondo accademico, reclutato da vere o finte università e  accademie nate come paesi dei balocchi per vendere titoli a chi, con i soldi, sa che può comperare tutto. Lezioni di cucina si sono trasformate in corsi di scienza dell’alimentazione; lezioni di sport in corsi di scienza motoria. Ogni «esperto nel far soldi e nel richiamare pubblico» (“influencer”) è diventato un “maestro”, e gli è stata offerta una cattedra per vendere ai gonzi la sua in-competenza e il miraggio di diventare come lui. La scienza e l’arte sono diventate «prêt-à-porter», assimilate a programmi televisivi di divulgazione, a podcast e a canali online di televendita, a videogiochi e a spettacoli di qualunque natura purché portino pubblico e soldi. D’altro canto, se prima di questo scenario postapocalittico senza apocalisse, erano enti privati ad offrire diplomi a coloro che non riuscivano a ottenerli in modo regolare, ora i diplomi sono in vendita ovunque, in qualunque Istituzione pubblica o privata che abbia paura di perdere i propri “clienti”, quegli studenti che, se spaventati dal rischio della bocciatura, potrebbero traslocare altrove penalizzando l’Istituzione, la quale a sua volta, senza i numeri, non potrebbe ottenere i finanziamenti-premio dello Stato a sua volta sempre pronto a valorizzare il “merito” di chi contribuisca ad alzare il “PIL” e richiamare nuovi avventori.
Il mercato dell’intrattenimento, quello della comunicazione, quello della soddisfazione di bisogni primi mascherati da bisogni secondi (l’ “arte” della cucina, del sesso, dello sport, del riposo) e quello del prolungamento della sopravvivenza (la chirurgia estetica, i trapianti di organi, la lotta contro i danni prodotti dalla società dei consumi) dettano ormai le regole di ciò che resta o di ciò che si è sostituito alla scienza e all’arte. Resta però ancora da dire che, con una presunzione tanto ridicola da far compassione, si è creato un «settore di assistenzialismo», non per i veri artisti o scienziati, ma per coloro che, non riuscendo ad entrare nel mercato della carne suddetto, quello del successo dei numeri richiesti dall’industria dell’intrattenimento, si sono sdegnosamente rifugiati nel mercato dei  mantenuti dalla politica, che ricevono finanziamenti a fondo perduto per spettacoli visti solo dai loro parenti, che spesso non vengono neppure realizzati o distribuiti; oppure si sono rifugiati in “Osservatori di ricerca” e riviste pseudoscientifiche per filosofeggiare su loro stessi e monitorare l’inarrestabile e prevedibile crisi di una Civiltà.
Non vogliamo dimenticare la crociata del «politicamente corretto» che sta operando una revisione iconoclasta dei capolavori del nostro glorioso passato. Questa si è rivelata un’ottima alleata di quegli pseudostudiosi che hanno trasformato la scienza in “storytelling”, assimilandola a movimenti di opinione e religione, per renderla alla loro portata e a quella del loro pubblico, che si nutre di senso comune, pregiudizi, sollecitazione degli istinti animali. Inoltre va anche a braccetto con quella pseudo-arte dei nuovi “maestri del contemporaneo” che sistematicamente dissacrano, riscrivono, rivisitano i capolavori del nostro passato, per interpretarli riduttivamente in chiave ideologica e profetica, nonché promozionale per loro stessi, per sostituire ad essi dei succedanei che li elevano al rango di artisti e che giustificano i soldi che prendono dalla politica per mantener vivo il settore dell’arte solo come fenomeno di moda, di denuncia, di impegno civile, per sentirsi dalla parte del giusto mentre si appropriano dei fondi per la vera ricerca che non si fa più.
In questo scenario, che per una volta abbiamo voluto chiamare anche noi “post-apocalittico”, dove la parola “apocalisse” sta per «mondo della comunicazione»  – un mondo in cui il «dire» ha cancellato il «fare», dove non c’è più bisogno di imparare a fare qualcosa ma basta dar l’idea di saperla fare, dove non si studia ma si impara a recitare la parte dello studioso – che senso ha parlare ancora di “umanisti”? Tra l’altro ormai noi stessi parliamo sottovoce di noi e di altri colleghi definendoci “umanisti” proprio come un tempo si usava l’espressione “carbonaro”. Sappiamo che dicendoci tali ci autodenunciamo, così come, andando a cercare e a studiare i grandi umanisti – secondo i nostri parametri – diventiamo  paradossalmente “delatori” di quegli studiosi e autori, e finiamo per denunciare i nostri stessi maestri come pericolosi nemici del “contemporaneo”. Peraltro se essi fossero vivi (alcuni, pochi, lo sono ancora) dovrebbero nascondersi o subire processi e condanne per non aver ripudiato la “tradizione umanistica”, ormai assimilata al “colonialismo” e rea di non essersi omologata al senso comune della “cultura di massa” globalizzata.
Ci è già capitato di veder rifiutato da università americane – che pure usano l’espressione “digital humanities”, evidentemente a sproposito  – il progetto nato dagli studi e dai progetti di un umanista come Roberto Rossellini, che a sua volta voleva sviluppare i progetti di umanisti come Leon Batista Alberti, Comenio, Leonardo. Ma se per un poco siamo rimasti attoniti e delusi che non ci sia più posto neppure per questi giganti negli studi accademici (se non per adattarli e ridurli a profeti del contemporaneo) ora possiamo contare sulla rete, sul nostro Portale, e sugli strumenti che da soli produrremo per realizzare quello e altri progetti, con la speranza che questo stesso Portale e i nostri Sistemi dedicati a quei maestri non finiscano anch’essi per subire la nuova censura della “Cancel Culture” e della peggiore “Cultura di massa”, che potrebbero apprezzare il nostro lavoro solo se «rivelassimo» (non importa se vero o falso anzi meglio se falso) attraverso “studi di genere” le abitudini sessuali e politiche di Rossellini, di Alberti, di Leonardo, di Laborit, trasformando questi umanisti in fenomeni di attualità da macinare attraverso i mass media.
Ma non sarà così. Finché potremo continueremo a dar voce, in queste pagine, a questi e altri grandi umanisti, e a trasmettervi la loro lezione metodologica senza censure e adattamenti, anche quando essa vi apparirà scomoda, indigesta, e realmente controcorrente. Ma l’arte e la scienza, come forse avete intuito, sono fatte per mostrare la complessità dele cose, non una loro  semplificazione; per quella c’è l’ideologia, la fede e l’intrattenimento.
Per concludere questa introduzione agli autori di cui qui ci occuperemo, ci dispiace constatare che molti di questi umanisti non hanno più o non hanno mai avuto spazi offline e/o online che raccolgano i loro lavori e i documenti delle loro ricerche, non quei reperti e cimeli feticistici con cui sono stati trasformati in stereotipi e maschere da museo delle cere. Perciò abbiamo anche deciso di aprire un Portale complementare a questo, che abbiamo chiamato “La Casa degli Umanisti”, proprio per dare una casa a quanti l’hanno persa o non l’hanno mai avuta; a quanti, non proclamandosi nazionalisti o al servizio di un solo padrone, sono passati dall’essere – per loro decisione – «cosmopoliti» ad essere – per costrizione – «apolidi». Ovviamente saremo felici di linkare dal Portale anche i Siti creati da coloro che già si occupano seriamente della ricerca e dell’opera (non della vita romanzata) di grandi umanisti.
I Laboratori che apriamo in questa sezione del nostro Portale, in questa Bottega dedicata alla formazione umanistica, riguardano alcuni umanisti che hanno dedicato con altrettanta passione la loro vita a fare scienza e/o arte e a insegnarla, a raccontarla senza ridurla e senza illudere i loro lettori/spettatori/allievi, ma anzi contribuendo, con la loro stessa opera, a creare nuove reali e motivate vocazioni scientifiche e artistiche, e a mantenere vivi gli ideali umanistici.
Alcuni di questi umanisti appartengono al passato più glorioso della nostra Civiltà, altri al nostro presente, appena passato o in corso. La scelta degli autori-studiosi a cui dedichiamo i primi Laboratori di questa articolazione della Bottega dipende, anche in questo caso, soprattutto dalla quantità e qualità di risorse documentali che abbiamo potuto raccogliere per poter condurre studi attendibili e realizzare Sistemi di Studio adeguati; ma dipende anche dal livello di esplicitazione metodologica presente in ogni loro scritto, lezione, opera narrativa e/o saggistica che essi hanno realizzato, cioè dalla consapevolezza del loro compito – in quanto umanisti – di insegnare l’arte e la scienza – oltre che farla – e di partecipare a una reale collaborazione interdisciplinare tra settori dell’arte e della scienza senza confini e frontiere, per contribuire alla continuazione della tradizione umanistica.
Ad ognuno di essi va il merito di non essersi accontentato dello spazio a lui riservato in un ambito accademico o dello spettacolo, ma di aver sfidato i giudizi e i pregiudizi dei colleghi, dei critici, e dell’opinione pubblica, nel tentare operazioni ardite e coraggiose di connessione tra campi del sapere e della ricerca. Ognuno di loro – direbbero i detrattori – “si è sporcato le mani” interessandosi di cose che non avrebbero dovuto riguardarlo, perché – erroneamente – non considerate di pertinenza della disciplina in cui era ed è ancora forzatamente incasellato. E ognuno di loro ha continuato ad andare per la strada intrapresa, incurante dei giudizi con cui si è tentato di fermarlo. Ad essi va la nostra ammirazione e il nostro ringraziamento per averci non solo indicato la strada per diventare umanisti, ma anche per darci modo di poterla indicare anche a voi, facendovi conoscere la loro opera come loro stessi avrebbero voluto, interamente e sistematicamente, non per la sola parte ritenuta accettabile da chi, oggi, li onora a suo modo, accomodandoli ai propri scopi. Sarete voi stessi, frequentando gli Ambienti di Studio che abbiamo preparato per voi, a giudicare i risultati di questo Multi-Laboratorio, confrontando ciò che noi abbiamo ricavato dalle opere dei nostri maestri, e verificando in ogni punto l’attendibilità degli strumenti che abbiamo elaborato riunendo e correlando esplicitamente ogni parte della loro complessa opera per ricomporne il mosaico: quel reticolo di idee, che connette le loro ricerche internamente e tra loro, che vi apparirà solo quando riuscirete a vederne sia le articolazioni che l’insieme e le connessioni.

 

A Lezione da Leon Battista Alberti

Questo Laboratorio prende in esame come un artista-scienziato polivalente, considerato da molti «solo un architetto», abbia  abbandonato i terreni sicuri del proprio mestiere per condurre una ricerca e un’attività di studio e didattica realmente interdisciplinare, anche attraverso la realizzazione di trattati di carattere metodologico, alla ricerca di principi universali per rendere più rigorosa tanto l’attività progettuale degli artisti quanto la formazione dei nuovi artisti.
La sua Biblioteca ideale e materiale, ricostruita da seri studiosi e resa quindi disponibile anche per i nostri studi, insieme ai suoi stessi scritti frutto di una elaborazione propriamente scientifica di tutte le risorse e le esperienze di cui Alberti poteva disporre, e insieme alla sua opera architettonica, in cui egli stesso applica i principi desunti dall’opera degli antichi maestri per portarli nella cultura umanistica rinascimentale e creare una continuità tra le opere del rinascimento e quelle della classicità, tutto questo fa di lui il primo nostro ideale interlocutore.
Per questo vogliamo riascoltare e farvi riascoltare la sua autorevole voce, realizzando nuovi adeguati strumenti di studio che possano trasformare il suo archivio e l’opera dei maestri da lui presa in esame in un unico manuale di metodo per la formazione degli umanisti dell’era digitale; un sistema di studio reticolare che faccia tesoro di competenze matematiche, pittoriche, letterarie, architettoniche, linguistiche, musicali, seguendo il principio metodologico enunciato dallo stesso Alberti, per il quale sia la scienza a guidare, come una bussola, le ricerche e i progetti di ogni autore affinché possa scoprire e inventare soluzioni per creare nuove opere destinate ad arricchire l’eredità della tradizione umanistica.

 

A Lezione da Roberto Rossellini

Questo Laboratorio sviluppa il progetto di “Sistema Polienciclopedico per lo Studio della Tradizione Umanistica” immaginato da  Roberto Rossellini e da lui in parte avviato realizzando preziosi tasselli di raccordo tra le opere dei grandi umanisti, luoghi virtuali dove farli dialogare indirettamente tra loro.
Anche nel caso di Rossellini si tratta di ridare voce ad un artista-studioso ancora considerato – dai suoi stessi estimatori – “solo un cineasta”, e addirittura riduttivamente trattato come un documentatore di epoche e personaggi storici, regista di film adatti per realizzare una sorta di «Bignami della storia occidentale in forma audiovisiva».
Il progetto incompiuto e incompreso di Rossellini, che nasce da una visione interdisciplinare della tradizione umanistica e da un piano in cui lo stesso Rossellini avrebbe voluto essere «solo il cantastorie», per connettere tra loro e dar voce a tanti scienziati e artisti del passato e del presente, prevedeva soluzioni allora irrealizzabili; soluzioni tecnologiche oltre che logiche, per correlare in un unico racconto polienciclopedico a più livelli narrativi:

– le storie dei  momenti di crisi e rinascita della tradizione umanistica,
– le storie degli incontri e scontri tra Civiltà,
– le storie di personaggi leggendari o immaginari che con il loro comportamento hanno mantenuto vivi quei sentimenti universali da lui stesso considerati gli ideali della tradizione umanistica, che tanto le favole di animali delle più antiche civiltà, quanto i sermoni e le leggende dei predicatori e dei grandi cantastorie, avevano contribuito a diffondere.

Per compiere questa impresa Rossellini aveva abbandonato il cinema stesso – inteso come produzione di corto- medio- e lungo-metraggi per le sale – per tentare, con la televisione e con l’editoria, di ottenere il tempo e la spazio necessari per una produzione seriale ed enciclopedica. Per creare le «costole» del suo progetto polienciclopedico, eredità dei suoi studi  illuministici, egli aveva scritto saggi, rilasciato interviste, realizzato lezioni, ed elaborato innumerevoli progetti che altri suoi colleghi e allievi avrebbero realizzare; aveva contattato scienziati e artisti di tutto il mondo, ricercato storie antiche in ogni forma espressiva; e aveva persino abbandonato il proprio Paese quando questo aveva smesso di aiutarlo. Aveva lui stesso acquisito nuove competenze, soprattutto scientifiche, per poter incarnare lui stesso l’ideale umanistico che voleva narrare. Aveva anche trasformato i suoi collaboratori in nuovi enciclopedisti, come raccontano il filosofo sceneggiatore Jean Gruault suo fedele collaboratore, e l’amico allievo François Truffaut. Aveva tentato di formare nuovi umanisti e aveva reclutato nuovi potenziali collaboratori. Aveva imparato tanto ricercando e annotando volumi di ogni tipo – soprattutto di interesse scientifico – raccolti nelle sue numerose biblioteche materiali sparse nel mondo intero, e aveva riportato su rubriche le connessioni metodologiche da lui steso colte ed esplicitate in quelle opere del passato e del presente. Aveva, come Leonardo, sperato di poter rimontare in una nuova forma non lineare, reticolare, enciclopedica, tutto quello che aveva lui stesso girato, e di poterlo connettere a quello che aveva scritto e raccolto, e a quello che altri, anche su suo suggerimento, stavano realizzando. Ma la morte, avvenuta troppo presto, lo ha fermato.
Noi abbiamo raccolto il suo progetto e ottenuto parte di una delle sue tante biblioteche, ignorata da coloro che cercavano solo sceneggiature e libri di cinema rimanendo delusi. Abbiamo investito tutti i nostri risparmi, ma non abbiamo ricevuto gli aiuti promessi quando ci siamo imbarcati nell’impresa per noi più dispendiosa, nell’anno del Centenario della nascita dell’autore. Ora siamo ostacolati soprattutto dalla mancanza delle risorse economiche necessarie per realizzare tuto quello che abbiamo elaborato nel frattempo, in attesa di aiuti; procediamo più lentamente, ma con questo Laboratorio intendiamo riprendere il cammino con chiunque – per nobili ragioni – vorrà aiutarci in questa impresa.

 

A Lezione da Alberto Cirese

Questo Laboratorio prende in esame la lunga ricerca metodologica, riguardo agli strumenti di studio delle scienze  demo-etno-antropologiche, compiuta da un “epistemologo prestato alle scienze sociali” (come amava dire lui stesso); uno studioso interdisciplinare che ha abbandonato i terreni sicuri e riconosciuti della materia antropologica (sistemi mitologici, parentali …) per avventurarsi sui terreni meno accettati e compresi dagli antropologi stessi, soprattutto quello metodologico, meta-teorico e meta-linguistico, e trasversale alle scienze sociali, riguardante gli strumenti, le teorie scientifiche o pseudoscientifiche presupposte con cui si studia la materia antropologica da quando questo tipo di studi ha avuto inizio.
“A scuola dai logici o a scuola dallo stregone?” è il titolo di uno dei suoi studi più famosi, almeno tra quei lettori come noi interessati alla sua ricerca metodologica. In esso si condensa letterariamente il senso della sua ricerca decisamente contro corrente rispetto a chi non solo non si è mai voluto chiedere con cosa studia la materia antropologica, e talvolta neppure quale sia la materia di pertinenza antropologica; ma anche a chi ancora pensa che gli studi antropologici non possano e non debbano uscire dal solo terreno storico storicistico ed empirico, e che abbiano la fortuna di essere chiamati “scienze” solo per la componente statistica, classificatoria, che accompagna le scienze sociali così come ogni attività di «catalogazione» di reperti, rendendo gli antropologi “catalogatori di farfalle” come usava dire un grande antropologo  (Edmund Leach) maestro dello stesso Cirese e non di meno attento al problema metodologico. Uscire dal “pregiudizio empirico” è stata, prima degli studi di Cirese, un’impresa considerata impossibile, ostacolata e solo per un poco assecondata da coloro che non potevano opporsi a personalità come Claude Lévi-Strauss o Vladimir Propp. Ma non appena – grazie a cattivi discepoli – gli studi “formal-strutturali” – come usava chiamarli Cirese – sono diventati “ideologia strutturalista” e sono finiti ripudiati, archiviati, e criticati da quasi tutti gli scienziati sociali, compresi quelli che li avevano abbracciati senza capirli e praticarli correttamente, gli studi antropologici hanno di nuovo perso il carattere di «strumento» oltre che di «materia» di studio, e sono tornati all’alveo – non «naturale» ma culturale – dell’empirismo, cioè delle infinite relativistiche catalogazioni, oltre che delle soggettive opinioni sociologiche da parte dei cosiddetti esperti della materia, ricercatori sul campo e commentatori da salotto in grado di compiere modeste astrazioni di carattere localistico e provvisorio. Cirese è stato tra coloro che – più di Lévi-Strauss stesso e prima che la sua sua “analisi strutturale” divenisse “strutturalismo” – sono riusciti a dare una spallata al muro del pregiudizio empirico, che ora è di nuovo tornato a gravare su tutte le scienze sociali.
Cirese, inoltre, a differenza di colleghi e maestri come Jakobson, Bremond, Nadel, Leach, Rudner, non si è limitato a criticare, ad esemplificare, e a teorizzare sia pure in modo convincente il salto metodologico necessario per uscire dalla palude delle scienze empiriche, contraendo una relazione stabile con le scienze esatte. Lui ha anche condotto studi rigorosi (la “rigorizzazione metodologica” era la sua ossessione) su oggetti che di norma sono considerati di pertinenza di discipline storiche o sociologiche, così dimostrando che uno studio antropologico può riguardare anche oggetti di pertinenza condivisa con altre discipline.
Inoltre ha lui stesso costruito “macchine” logiche e tecnologiche (che lo rendono un parente stretto degli “Oulipiani”) per rendere le operazioni di ricerca oggettivate e oggettivabili, persino tecnologicamente automatizzabili, e perciò meno soggette  all’ “equazione personale” del ricercatore. Infine Cirese, a differenza di chiunque altro nel suo campo di studi, ha adottato un punto di vista epistemologico più alto (più vicino a quello di Popper, di Carnap, di Rudner che a quello di Lévi-Strauss), andando appunto “a scuola dai logici”; e grazie a questo punto di vista logico prima che antropo-logico e tecno-logico informatico, egli ha potuto assumere ad oggetto di studio e analizzare «il modo con cui», sin dalla nascita degli studi, gli antropologi studiano la materia di pertinenza antropologica, cioè le consuetudini di un gruppo sociale così come si possono ricavare dagli oggetti, dai prodotti, dai documenti raccolti dai ricercatori (non solo etnografi) e resi disponibili in musei, pubblicazioni e altro.
In questo senso il lavoro di Cirese riguarda tanto i criteri con cui i cercatori hanno raccolto e classificato gli oggetti di studio, sia i criteri con cui gli studiosi che conducano indagini sul già raccolto traggono conclusioni che possano avere qualche attendibilità e in taluni casi un valore più generale di quello che può rappresentato dalla comprensione delle particolari usanze prese in esame. Cirese ha voluto ridefinire sia i presupposti teorici relativi agli strumenti con cui studiare gli oggetti presi in esame, sia i presupposti teorici riguardo la delimitazione della materia stessa di pertinenza antropologica o al taglio antropologico per trattare una materia come quella narrativa letteraria, considerata di pertinenza di altre discipline.
Noi abbiamo avuto la fortuna non solo di seguire le sue lezioni per anni, ma anche di aiutarlo nei suoi studi, e di raccoglierne l’eredità quando ci ha affidato il suo sito, il suo archivio digitale, i diritti d’uso digitali della sua opera, e il compito di realizzare il progetto di «ipermanuale di scienze demo-etno-antropologiche» nato dalla lunga reciproca frequentazione dei suoi e dei nostri studi. Il progetto, avviato per nostra iniziativa e con il suo consenso non appena scoprimmo la struttura logica reticolare implicita nei suoi studi, ha avuto diverse rielaborazioni via via che, sperimentando, lui stesso ne vide le potenzialità per trarre da esso uno strumento metodologico di studio e formazione, e volle partecipare direttamente alla sua elaborazione. Convinto di poter dare attraverso di esso una degna edizione reticolare a tutta la sua opera, ma anche di poter raggiungere la forma più adeguata per un manuale di metodo sul modello di quello creato da lui stesso con la carta e con limitate risorse – “Cultura egemonica e culture subalterne” – lavorò con noi e per noi ad una riedizione digitale della sua opera recuperando, revisionando e annotando i suoi scritti cartacei, e fornendoci un prezioso archivio digitale su cui lavorare. Ci fornì anche l’indice della sua biblioteca ideale e alcune “sillogi” (così decidemmo insieme di chiamare le raccolte dei suoi scritti) in cui raggruppò i suoi studi per temi metodologici. Il nuovo manuale, tutt’ora in corso d’opera possiede una esplicita struttura reticolare, non più solo logica ma anche tecnologica, ed è arricchito di un livello meta-iper-testuale che argomenta le ragioni logiche delle correlazioni tra i suoi studi nonché con quelli degli altri antropologi da lui assunti ad oggetto di meta-studio metodologico.
L’ipermanuale è pensato come uno strumento innovativo non solo per formare nuovi antropologi ma anche per contribuire a preparare gli umanisti digitali del nuovo millennio. Entusiasta sin dai primi prototipi che realizzammo per esemplificare le funzionalità del nuovo strumento, Cirese ci aiutò fino all’ultimo a delinearne e svilupparne l’architettura. Ora spetta a noi – e a chi di voi vorrà aiutarci nell’impresa – portare a termine il progetto, per distribuirne i risultati nei nostri Ambienti di Studio, per offrire un  manuale di metodologia rivolto a chiunque voglia incrementare e affinare i propri strumenti di indagine.

 

A Lezione da Henri Laborit

Questo Laboratorio di studio prende in esame l’opera di uno scienziato anomalo che si lasciò alle spalle i riconoscimenti come medico  scopritore e inventore di soluzioni che lo resero famoso nel suo ambiente di origine, per avventurarsi in un terreno scomodo e incompreso, rappresentato da un lato dal Laboratorio di ricerca interdisciplinare diretto da lui stesso e composto da umanisti oltre che da medici e biologi, e da un altro da un’opera letteraria riduttivamente considerata «divulgativa» delle sue idee, ma realmente introduttiva a un sistema di studi interdisciplinari sul rapporto tra il bio-logico, lo psico-logico, e il socio-logico.
Riprendendo una passione propria dei grandi umanisti del passato – e condividendola con altri umanisti contemporanei come Roberto Rossellini – Laborit è riuscito a far incontrare e collaborare studiosi e autori di diverse discipline, per creare un terreno comune di ricerca dove poter studiare le connessioni tra il «micro» e il «macro», tra gli studi a livello chimico fisico e biologico con quelli a livello psicologico comportamentale e quelli a carattere culturale antropologico.
Questo studioso, che avemmo il piacere di incontrare in occasione di una sua conferenza a Roma, e che suscitò tanto interesse in Roberto  Rossellini, ha raccolto la difficile eredità di tanti altri progetti di ricerca interdisciplinare, come quella del “Centre International d’Epistémologie Génétique” creato da Piaget, o come quella racchiusa nelle opere dei grandi narratori-studiosi (come Galileo Galilei) che del «racconto filosofico» hanno fatto uno  strumento di indagine e di comunicazione tra i campi del sapere.
La sua concezione enciclopedica reticolare della conoscenza e della didattica, le sue riflessioni metodologiche sull’educazione e sullo sviluppo delle capacità elaborative possono rivoluzionare non solo gli studi umanistici, resi difficoltosi dalle divisioni settoriali tra discipline, ma la formazione umanistica stessa fin dalle sue fondamenta, cioè sin dalla scuola di base. In questa prospettiva Laborit rappresenta per noi l’umanista ideale dei nostri tempi, che insieme a Rossellini coltiva l’ambizione mai sopita di riunire arte, scienza, e tecnolgia in un compito sia educativo sia conoscitivo e comunicativo, per mantenere viva la tradizione umanistica e per continuarla.
In suo onore, sviluppando questo Laboratorio, noi vogliamo riunire in un solo manuale reticolare l’insieme dei suoi scritti e delle sue lezioni, sperando di ricevere, dai suoi collaboratori ancora vivi e dai suoi allievi, l’aiuto indispensabile per completare il mosaico dei suoi contribuiti e far emergere l’impianto metodologico che lo sostiene, anche attraverso le correlazione con gli studi dei suoi tanti interlocutori e maestri.

 

A Lezione da Theodor Nelson

Questo Laboratorio è dedicato allo scienziato che con la sua lungimirante visione della Rete e dell’universo digitale mette ancora  in imbarazzo chi l’ha ignorata ma comincia solo ora a rimpiangere di non averla presa sul serio. Nelson è anche colui che è stato riduttivamente archiviato come “il padre degli ipertesti” – oltre che l’ispiratore del World Wide Web – lasciandolo, inascoltato, a produrre periodicamente lezioni e interventi sul suo canale YouTube. Per fortuna anche grazie ad esso, oltre ai suoi scritti metodologici chiarificatori, ci ha regalato molte lezioni di metodo insieme a un modello esemplare di costruzione tecnologica di quanto da lui immaginato e progettato agli albori dell’Editoria Elettronica.
Theodor Nelson non è solo un informatico; il suo interesse per il futuro dell’editoria ne ha fatto non soltanto il padre dell’ “editoria elettronica”, e di conseguenza un uomo con molti figli illegittimi molto famosi. Egli è anche e soprattutto, per noi, l’umanista che ci ha fornito una visione al contempo ampia e rigorosa di come andrebbe ripensato e riorganizzato tutto il mondo dell’informazione nell’era digitale, compresa quell’informazione di natura scientifica e artistica che a noi interessa in modo particolare.
Da quando noi stessi ci siamo occupati di Editoria Elettronica, abbiamo cercato di portare la sua lezione, metodologica prima che tecnologica, nelle nostre “Tele Ipermediali” (poi divenute “Sistemi di Studio Reticolare”) e di far comprendere ai nostri interlocutori l’importanza dei suoi insegnamenti, non solo dichiarandoci con orgoglio suoi eredi ma anche mostrando come, seguendo i suoi  insegnamenti, si possano costruire oggi strumenti di studio che superino, non imitino, le qualità e le funzionalità di quelli analogici.
Ora abbiamo voluto dedicate un laboratorio specifico alle sue ricerche, per studiare come rendere i suoi stessi studi un sistema reticolare per comprendere e imparare la sua lezione di metodo. In questo Laboratorio intendiamo trasformare i suoi scritti e le sue lezioni in un unico strumento di metodo, un manuale di progettazione ipermediale, anche aggiornando le soluzioni tecnologiche da lui proposte con quelle oggi disponibili.
Creare un ipertesto per rappresentare la ricerca del padre degli ipertesti è per noi una sfida e un’impresa che ci permette di saldare il debito che abbiamo contratto con lo studioso che ha maggiormente influenzato la nostra ricerca insieme metodologica e tecnologica riguardo la reticolarità intesa come modello logico che, con adeguate soluzioni, può diventare anche un modello tecnologico.
“Xanadu” il suo sistema di organizzazione ipertestuale delle informazioni, costituisce uno dei presupposti teorico-metodologici dei nostri “Sistemi di Studio Reticolare”. Essi sviluppano quello che lui stesso non ha potuto prevedere e affrontare, non  avendo mai lavorato, da informatico, con prodotti complessi come quelli artistici.
Ma se Nelson nasce come informatico, la sua lungimiranza e il suo interesse per il mondo dell’editoria e dell’informazione, la sua concezione della rete come sistema reticolare di distribuzione editoriale rendono il suo lavoro tutt’altro che superato ma sempre attuale come quello di un grande umanista capace di cogliere valori universali.  Tutto il nostro lavoro si ispira alla sua idea che ogni autore possa mantenere la proprietà della propria opera facendo di essa un nodo di una rete, in cui ogni citazione, annotazione o nuova edizione sia esplicitamente pubblicata come variante della sua stessa opera e ricondotta e correlata al suo sito personale per essere autorizzata e resa disponibile alle condizioni poste dal legittimo proprietario. Le sue riflessioni e i suoi progetti sono presupposti metodologici e tecnologici tanto rivoluzionari quanto l’invenzione della stampa; di conseguenza nessuno che abbia a cuore la diffusione e la continuazione della tradizione umanistica, e si domandi come farla conoscere alle nuove generazioni, dovrebbe ignorarli.
Ma dal momento che la sua importanza sotto questo aspetto appare evidente solo a noi e a pochi altri, sarà nostro compito mostrare come i suoi insegnamenti potrebbero migliorare il mondo dell’informazione e dell’educazione, e come il progetto di edizione reticolare elaborato da questo studioso possa rivelarsi persino più innovativo di quanto lui stesso lo abbia immaginato, qualora venga ulteriormente sviluppato e finalmente realizzato con gli strumenti giusti, oggi disponibili.
Dalle sue idee prende anche vita il nostro progetto di un’applicazione che possa agevolare tanto il lavoro degli autori quanto quello degli educatori, quanto ancora quello degli editori nonché dei veri degli studiosi: uno strumento di conoscenza ma anche di elaborazione e di distribuzione della conoscenza che possa accompagnare ogni individuo dalla nascita alla morte, e che consenta di non perdere ciò che ciascuno ha elaborato, per farlo dialogare con le elaborazioni di altri in un vero lavoro condiviso di ricerca a distanza, che inizi dai primi anni di vita di ogni potenziale umanista, e non finisca mai.

 

A Lezione da Jordi Savall

Questo Laboratorio è dedicato a un musicista anomalo, un vero umanista, studioso, interprete e ricercatore esperto di ogni campo  musicale, che ha scavalcato quei confini settoriali tra musiche di interesse demo-etno-antropologico e musiche antiche e classiche, ricercando e facendo scoprire correlazioni tra di esse, non solo attraverso nuove edizioni discografiche da lui stesso curate sotto ogni aspetto, ma anche attraverso un programma senza fine di concerti dal vivo, in cui ha riunito, in diverse formazioni, artisti di diversa provenienza geografica e culturale, per realizzare con essi progetti di «dialoghi musicali» oltre ogni frontiera e confine culturale. I suoi progetti, spesso pubblicati in forma di “Rotte” per esplorare connessioni tra mondi lontani nel tempo e nello spazio, mostrano come l’arte sia cosmopolita e come possa e debba diventare il primo vero strumento educativo e di crescita culturale. Savall ci ricorda, con la sua immensa opera, come la musica sia il faro di una Civiltà dell’arte che unisce e riunisce da sempre artisti e studiosi, umanisti di ogni Paese ed Epoca, nell’indifferenza delle guerre e dei conflitti tra i Paesi che li ospitano o in cui sono nati.
Savall, come abbiamo scritto nel testo più ampio con cui vogliamo farvelo conoscere, è ai nostri occhi un raro «tessitore» di informazioni di carattere artistico depositate nella memoria orale e scritta di ogni popolo e di ogni grande autore e interprete. In questo senso lo abbiamo presentato tra i nostri maestri nel Portale e nel Sito che gli dedicheremo all’interno della “Casa degli Umanisti”, che costituirà un complemento del nostro Portale e che sarà connesso al Sito ufficiale dell’autore curato da lui stesso e dai suoi collaboratori e dove potete trovare notizie relative ai suoi concerti e alla sua produzione editoriale.
Savall è un esempio vivente di come si possa essere ancora umanisti in un Era in cui la tradizione umanistica viene assimilata al colonialismo, mentre all’universalità dei capolavori artistici vengono preferite le mode del contemporaneo, e mentre al pensiero cosmopolita che unisce gli artisti si cerca di sostituire con la diseducazione quello nazionalista, che li divide e li oppone trattandoli come meri strumenti di propaganda ideologica. 
Savall con le sue ricerche e i suoi progetti interdisciplinari ha fatto storcere il naso ai puristi che vogliono mantenere rigidi confini tra le discipline artistiche e quelle demo-etno-antropologiche. Ma lui, con il suo disarmante piano enciclopedico senza fine, con ogni suo progetto di studio a tutto campo della cultura musicale, dimostra in modo scientifico che il dialogo tra la cultura popolare e l’arte, insieme allo studio rigoroso della materia culturale e artistica con strumenti propriamente scientifici, è l’unico modo per combattere il degrado, e di contribuire a quella armonia tra Paesi che solo l’arte può assicurare.
Per Savall, come per ogni grande umanista, lo studio del nostro passato va correlato allo studio delle Civiltà che hanno contribuito alla nostra stessa crescita culturale, con cui per secoli i nostri avi hanno dialogato, e di cui, anche senza saperlo, godiamo i frutti, persino quando ci convinciamo che sia tutto opera dei nostri avi, e non il risultato di una condivisione, di una crescita comune, di continui scambi e influenze reciproche realmente interculturali.
Savall ci insegna come si diventa umanisti e come ci si comporta da umanisti; e lo fa con l’esempio da decenni, ricercando testi  dispersi, creando ensemble multietnici, eseguendo musica dimenticata come l’avrebbero suonata coloro che l’hanno creata, ricercando o ricostruendo gli strumenti adatti, e andando alla ricerca di connessioni tra la quella musica che è diventata arte e quella musica popolare che da essa deriva o che l’ha ispirata.
Per Savall non ci sono confini, e perciò ci invita a superare i nostri stessi pregiudizi, anche quelli impliciti più pericolosi, per prepararci a scoprire e apprezzare i suoi “viaggi” – così simili ai nostri “Sentieri esplorativi” – alla ricerca di connessioni non immediatamente  percepibili tra fenomeni culturali imparentati tra loro. Savall con ogni tassello della sua opera ci insegna come e dove scoprire le comuni radici interculturali, facendo leva sulla nostra curiosità e disponibilità a superare l’idea che ci siano “altri da noi” piuttosto che – come ci ha insegnato Cirese – “altri noi” che hanno fatto scelte diverse e tuttavia comprensibili.
Savall ci guida in questa scoperta continua e senza fine di denominatori e modelli comuni, di quelle strutture che la musica – più di qualunque altra materia artistica – consente di identificare, con chiarezza e precisione, come parti di formule logiche comuni, che non concedono spazi a opinioni e sovrainterpretazioni.
Questo Laboratorio vuol dare a questo grande artista-studioso non il meritato successo, che già ha ottenuto, ma un riconoscimento come umanista e maestro di umanisti, collocandolo al posto che gli spetta nella rete delle ricerche umanistiche e nell’ideale scuola di formazione umanistica che abbiamo potuto immaginare e cominciare a costruire anche grazie a lui.