Le Nuove Botteghe Umanistiche

Gli Ambienti di Studio, Progettazione e Sviluppo, dove trasformiamo «oggetti» inerti e irrelati in «strumenti» di metodo per studiare, con la scienza, le soluzioni e le regole della narrazione artistica, per indagare l’architettura di capolavori immortali, per esplorare la rete delle correlazioni tra le innumerevoli varianti di modelli archetipici, e per scoprire i meccanismi narrativi e compositivi condivisi tra opere distanti tra loro nello spazio, nel tempo, e nelle forme espressive.

I Progetti della Bottega AuteurStudio

I Progetti della Bottega AuteurStudio

Studiare Il metodo per creare i manuali di metodo che non esistono ancora

Uno dei luoghi comuni più diffusi, tra chi fa e chi studia arte narrativa, è che l’arte non si possa apprendere né tantomeno insegnare; perciò si può solo sperare di essere dei “predestinati” a ricevere il “dono” (per via genetica, o forse divina), cioè quelle capacità rare e preziose che renderebbero “genio”, suo malgrado, un inconsapevole, ma dotato,. Di qui la domanda: ma se si assume che “artisti si nasce”, perché mai allora spendere energie, tempo e denaro per imparare l’arte?

Molti nell’ultimo secolo devono aver preso sul serio questo pregiudizio tanto diffuso quanto risibile; e, autoinvestendosi “autori cinematografici”, o ricevendo tale investitura da compiacenti parenti e potenti pronti a sovvenzionare le loro imprese, si sono messi con impegno a commettere delitti e provocare disastri in ogni campo artistico, con la certezza (da parte di chi ha dato loro la patente e i mezzi) di rimanere impuniti e di non combinare, in fin dei conti, grossi guai. Trattandosi «solo» di questioni culturali, i danni prodotti da questi inetti patentati sono considerati trascurabili fino a prova contraria. Per molti pseudo-studiosi poi, il degrado culturale, come i cambiamenti climatici, sono solo esagerazioni allarmistiche messe in giro da chi non vuole accettare le “nuove forme di vita culturale”. “Con la medicina e con l’ingegneria invece non si scherza”, si sarebbe detto fino a un po’ di tempo fa; ma ora, a osservare i guai della malasanità e dell’ingegneria pubblica, sembra che gli «incapaci titolati» abbiano ottenuto la licenza di uccidere anche in questi campi considerati “strutturali” e “prioritari” rispetto alla crescita culturale, con la quale – si sa – “non si mangia”. Il risultato dei disastri combinati in ogni campo artistico nell’ultimo secolo è sotto gli occhi di tutti … quelli che vogliono e possono «vedere». La maggior parte delle arti non se la passa molto bene; o più semplicemente non se ne vuole dichiarare la morte, dal momento che, abusando del «nome» “arte”, si possono continuare a compiere spregiudicatamente operazioni ignobili ma giustificate proprio da questa parola, che ormai – come la parola magica “scienza” – si può applicare come  prefisso a qualunque cosa per nobilitarla.

Eppure per secoli la musica si è studiata e insegnata in modo rigoroso anche grazie ai tanti manuali e trattati di metodo, nonché a maestri preparati ed esigenti, e a scuole ben organizzare in cui artisti affermati trasmettevano in modo scientifico la loro eredità ai loro allievi, futuri artisti. Negli altri campi, dove pure per secoli si sono praticate raffinate forme d’arte, le cose non sono andate altrettanto bene, nonostante le Botteghe – come quelle che noi vogliamo ricreare virtualmente – abbiano assicurato a lungo il passaggio di consegne da autori ad aspiranti autori, quando i primi erano ancora in vita.

Che il cinema potesse essere considerato e praticato come una nuova forma d’arte, come una nobile sintesi di più forme espressive  – al pari del teatro musicale – era stato messo in dubbio sin dagli inizi, dal momento che la maggior parte degli stessi autori lo aveva concepito e lo usava per scopi esclusivamente ricreativi o documentari. Nel migliore dei casi il cinema si preannunciava come un grande mezzo particolarmente utile per fare propaganda, giornalismo pubblicità ecc.

Pochi erano riusciti a mostrare, subito, che con il cinema si poteva fare «anche» arte (come riteneva John Ford parlando dell’opera di Ernst Lubitsch, o quest’ultimo parlando dell’opera di Charlie Chaplin). Quei pochi «artisti cinematografici» provenivano da mondi in cui avevano imparato «come» fare arte con il teatro di prosa e musicale, la letteratura, la musica e la pittura. La maggior parte degli autori, da allora, non ha seguito l’esempio di quei maestri, e non si è più posta il problema; tuttavia, assumendo come presupposto ingenuo che il cinema fosse di per sé e comunque un’arte, ha fatto di tutto con il cinema … tranne arte.

Ora il cinema sembra destinato a diventare un mezzo per creare lunghi «trailer» di più redditizi videogiochi; oppure un nuovo modo per offrire intrattenimento seriale di bassa qualità (al posto dei romanzi d’appendice e dei fotoromanzi) a persone frustrate e desiderose di stordirsi nel loro dopo lavoro; o ancora un modo tra i tanti per fare propaganda politica. Il cinema cosiddetto “d’autore” si è rivelato – come è accaduto in altri campi dove all’arte si è sostituito qualcos’altro chiamato impropriamente con lo stesso nome – solo un mezzo per mantenere quella casta intellettuale, per nascita e per titoli, che si invita e si premia reciprocamente ai festival, nonché quel contorno di cortigiani che la esalta attraverso i media. Quelli poi, tra gli autori, che si definiscono “impegnati”, esplicitano con tale espressione la loro irriducibile fedeltà alla politica, dichiarandosi dei mantenuti dalla politica stessa; e in quanto tali essi devono giustificare i soldi che prendono, garantendo una militanza e un sostegno al loro indispensabile ufficio di collocamento.

Paradossalmente un tempo si consideravano «autori», nel cinema, coloro che rischiavano i loro stessi soldi, quelli che producevano i loro stessi progetti e li curavano sotto ogni aspetto e in ogni fase, persino ipotecando la loro casa e chiedendo prestiti pur di non «dipendere» da un produttore esterno, e non di rado persino scalando una Major e diventandone direttori (Hitchcock, Lubitsch, Chaplin …) al solo scopo di poter decidere loro stessi cosa e come produrre. Gli “autori” – detti anche “auteurs”, “indipendenti”,“mavericks” – erano coloro che reinvestivano i proventi di un film nella produzione del successivo, e che quindi erano ben più attenti di altri a farlo bene, a curarne persino la promozione (come ha esemplificato magistralmente Alfred Hitchcock) per non rischiare di interrompere prematuramente la loro carriera. Tra quegli autori c’era persino chi, come Billy Wilder, dichiarava (in tempi in cui le parole rappresentavano sincere intenzioni, e ad esse seguivano i fatti) che avrebbe smesso al primo fiasco, … e poi manteneva la parola. Ora invece gli autori sono semplicemente degli assistiti e garantiti a priori; oppure degli ingenui dilettanti impreparati che, grazie alla rivoluzione tecnologica e alla cosiddetta “democratizzazione digitale”, si illudono di avere già tutto ciò che occorre loro per diventare “famosi”; per essere cioè “scoperti” da qualche sedicente mecenate, uno di quei distributori sempre in cerca di nuovi “talenti” da usare come esche per attrarre altri illusi di poter riuscire ad avere lo stesso successo, ai quali rivendere le opere “esemplari” dei nuovi campioni entrati a far parte della loro molto effimera scuderia.

Oggi il cinema è di nuovo in mano a banche e società che non sono di certo interessate all’arte, ma che trattano la produzione audiovisiva come qualunque altro prodotto industriale da assemblare, promuovere e vendere per trarne profitto; di conseguenza confezionano pacchetti di sicuro successo sulla base di indagini di mercato, e li sfruttano – fino alla nausea degli spettatori – con interminabili sequel e prequel (avete presente l’interminabile saga di Guerre Stellari?), adottando e diffondendo modelli stereotipati “di genere” (avete presente le serie, gli spin-off, i film, i videogiochi, dedicati ai “walking dead”?), che fanno leva sul degrado culturale del pubblico che loro stessi provocano e alimentano. D’altro canto il cinema, più di altre forme di narrazione, è diventato ormai un fenomeno marginale, un mezzo per vendere altro: giochi, merchandising o serie, che nascono da film usati come prodotti pilota per sondare e poi sfruttare il livello di degrado raggiunto dal pubblico.

E mentre le sale chiudono e il cinema si disperde nella distribuzione della rete – confondendosi con i social e i reality – è difficile immaginare che ci siano ancora produttori, distributori e pubblico disposti a realizzare e fruire opere che assomigliano sempre di più ai prodotti amatoriali che ognuno già realizza, edita, pubblica, e promuove attraverso i social usando il proprio telefonino, convinto che ci siano tanti altri interessati a vedere, apprezzare e imitare le medesime cose che fanno già loro stessi.

L’unica cosa che appare chiara, al momento in cui scriviamo, è che la sopravvivenza di qualche raro caso di autore e di opera cinematografica di qualità è dovuta all’ormai rara, preziosa (e perciò anche ben ricompensata) capacità di saper narrare. È altrettanto vero che in ogni campo dove un tempo si produceva l’arte, ora l’incapacità narrativa dei nuovi pseudoartisti è spesso trattata come una nuova forma di «arte senza narrazione». Ma nel cinema, che si è affermato proprio grazie alla narrazione – anche se spesso solo di propaganda o di inchiesta o di genere – la mancanza di autori in grado di scrivere una sceneggiatura che funzioni, o addirittura che abbia ambizioni artistiche, si avverte sempre di più come la ragione strutturale di un declino accostabile solo a quello del grottesco mercato dell’inesistente “arte contemporanea”. Il travaso del cinema nelle odiate ma utili piattaforme streaming, e la riconversione di autori a registi di serie, spesso abbandonate rapidamente per mancanza di numeri, rivela una dipendenza malata da un pubblico che deve essere conteso con altri produttori di spazzatura di maggior successo – anzitutto i videogiochi – e poi con altre forme di intrattenimento di grande successo, come i social, in cui il pubblico si sente maggiormente «protagonista».

L’arte da sola non è mai bastata per formare il pubblico, meno che mai quando è voluta diventare pedagogica e dottrinale perdendo la sua natura e la sua specificità. Ma ora ciò che resta del cinema, che con sprezzante presunzione non vuole scendere a patti con quel mercato degradato che pure ha contribuito a creare, non è più nemmeno in grado di invogliare il pubblico a crescere per poter apprezzare oggetti più complessi e interessanti di quelli che fruisce quotidianamente attraverso i diversi media. La ragione sta nei presupposti: nel cinema attuale o di attualità non c’è più arte, semmai denuncia, giornalismo; e nella maggior parte dei casi si tratta di un succedaneo degradato di quello che un tempo ha mostrato di poter fare. Il cinema sopravvissuto all’era del digitale, della rete, dei social, non è in grado di soddisfare i pochi spettatori preparati ed esigenti rimasti a cercare e ad apprezzare l’arte in qualunque forma, quando la trovano; né meno che mai è in grado di competere con la produzione di massa, dei grandi numeri, che orienta e insegue il gusto degradato del pubblico stando bene attento a non fare a braccio di ferro con quel mercato più attraente, per i giovani, creato e alimentato dai social.

Eppure le eccezioni ci sono, ma teniamo bene a mente che sono solo eccezioni, non la regola. È con questa consapevolezza che invitiamo tutti i nostri utenti ed interlocutori a collaborare ad un progetto formativo e fondativo per ricreare le condizioni con cui si possa tornare a fare – e a comprendere come fare – arte anche con il cinema. Autori come Robert e Michelle King, Stephen Poliakoff, Steven Moffat, Aaron Sorkin, Taylor Sheridan hanno scritto alcuni piccoli capolavori dalle molteplici qualità narrative che hanno avuto un successo «televisivo» (se ancora si può usare la parola “televisione” al tempo della distribuzione sulle piattaforme e con i dispositivi soprattutto mobili) tale da destare l’interesse dei produttori e distributori. E l’hanno ottenuto anche grazie a un mercato che, nonostante i protezionismi e i nazionalismi, è diventato necessariamente globale attraverso la distribuzione in rete. Loro – e chi li seguirà imparando direttamente da loro o attraverso la loro opera – costituiscono la nostra maggiore speranza che il cinema – seriale o non seriale – sopravviva dopo un secolo di progressivo degrado, e dia modo, a chi produce ancora piccole opere di qualità non considerate dai grandi distributori di contenuti, di continuare ad avere una onesta distribuzione e un vero pubblico, anziché dover ricorrere a quella forma di discutibile mantenimento (facendo film prepagati e distribuiti solo sulla carta, o in sala solo per un giorno) che fa tanto pensare a un prepensionamento o a un cronicario per malati terminali.

È diventato urgente investire sui pochi narratori rimasti, nel campo cinematografico, ancora in grado di raccontare bene una bella storia; ma anche formarne di nuovi, e nondimeno formare il pubblico dei giovanissimi affinché imparino ad apprezzare l’arte in ogni forma, anche audiovisiva. Solo così può ancora apparire plausibile che nel prossimo futuro, se mai si produrrà ancora arte, ci sia qualcuno disposto a spendere tempo e denaro per fruirla.

Queste ragioni tuttavia non interessano a chi produce e distribuisce spazzatura usa e getta, a chi realizza e chiude, con la medesima disinvoltura, progetti pilota per testare, catturare e soddisfare il gusto degradato del pubblico, mentre contribuisce a degradarlo ulteriormente. Ai produttori e distributori di «spazzatura per la mente» (equivalente della «spazzatura per il corpo» su cui lucrano le grandi catene dei fast food) basta mantenere viva, negli aspiranti autori, l’illusione di poter diventare facilmente essi stessi narratori di successo, in grado di realizzare prodotti come quelli che fruiscono avidamente e di continuo: film e serie tratti da – o ispiratori di – videogiochi, che di solito consentono loro di immedesimarsi in protagonisti adolescenti ma capaci di salvare il mondo da eserciti di morti viventi provenienti da uno scenario postapocalittico, e di poter così osservare altri giocare ai videogiochi che amano.

A questi illusi si rivolgono i dispensatori di corsi, manuali, ricette per scrivere la sceneggiatura perfetta, per ottenere successi stagionali emulando coloro che ce l’hanno fatta a vendere i loro progetti a produttori e a piattaforme sempre in cerca di contenuti da offrire a un pubblico tanto vorace quando di bocca buona, ma anche attente, come vere banche, a sostenere solo coloro che possono garantire a priori alti profitti. In questa logica, simile a quella delle scommesse sul mercato azionario, le produzioni audiovisive seriali che non ottengono immediati profitti sul mercato nazionale, vengono cancellate dopo una sola stagione senza neppure attendere gli introiti derivanti dalla distribuzione internazionale e dal merchandising (che ora pesa insieme ai videogiochi molto di più dei film stessi). Chi non fa grandi numeri subito – a meno che non rientri nella casta dei fortunati che anche dopo reiterati insuccessi vengono finanziati per diritto – è addirittura marchiato come un pericolo per le finanze dei potenziali produttori scommettitori.

In questa prospettiva di mercato, anche nel cinema proliferano i corsi di marketing, perché oramai il prodotto audiovisivo, mentre scompaiono le sale, si sta trasformando in qualcosa di molto facile da realizzare ma difficile da distribuire. Solo i social appaiono un mercato affidabile per gli scommettitori, perciò il “videomaker” deve diventare anche un “influencer”, capace di suscitare interessi per il proprio diario giornaliero, per le proprie buone e cattive azioni quotidiane. Neppure un film di Spielberg in questo scenario è garantito. Gli investimenti miliardari delle società multinazionali che scommettono sull’audiovisivo sono gli stessi che riguardano il mercato più vasto dell’intrattenimento; e non considerano un autore per le sue capacità di fare arte, dal momento che se puntassero su di esse si rivolgerebbero solo a quel pubblico limitato in grado apprezzarla. Sono indicative le riscritture delle sceneggiature che vengono richieste, anche agli autori più capaci, per garantire successi stagionali di pessima qualità ma in grado di intercettare un pubblico vastissimo, a differenza delle prime stesure che evidentemente sono pensate per un pubblico limitato;  quel pubblico ancora in grado di apprezzare capolavori come quelli del passato, che portano soldi all’industria del cinema e agli stessi autori per creare nuovi capolavori, ma non fanno arricchire ulteriormente gli eventuali investitori. Ora gli autori sono chiamati a creare prodotti che diano dipendenza, che consentano di moltiplicare gli investimenti e i guadagni attraverso remake, sequel, prequel, e infinite riscritture per tutte le forme del mercato dell’intrattenimento.

Vi starete chiedendo, a questo punto, che possibilità rimangano per chi ancora spera di poter fare arte anche con il cinema, e come mai, nonostante queste premesse, noi vogliamo parlarvi di come si possa imparare a fare arte con il cinema studiando, in nuovi modi e con nuovi strumenti, l’opera dei maestri del passato che ci sono riusciti.

Per rispondervi dobbiamo fare un passo indietro e chiarire perché ci occupiamo anche di cinema, e di quale cinema ci occupiamo.

Quando un oggetto di cui si parla è divenuto così confuso che non si sa più di cosa si stia parlando, occorre anzitutto ridefinirlo e forse anche rinominarlo, cercando di distinguere cosa – dal punto di vista di chi lo studia e ne parla – ne faccia parte, e cosa invece venga considerato estraneo ad esso.

Più volte in questo Portale vi abbiamo invitato a riflettere sulla materia di cui ci occupiamo, che non è la «narrazione» ma la «narrazione artistica» (delimitiamo così l’oggetto) in ogni forma in cui può essere praticata (assumiamo così una prospettiva più ampia). In questo senso il cinema, per ciò che ne rimane e per ciò che potrebbe diventare a causa delle continue trasformazioni a cui è sottoposto, anche in seguito all’impiego delle nuove tecnologie produttive e distributive, continua ad essere per noi uno stimolante oggetto di studio e di discorso, dal momento che noi siamo interessati a tutte le variazioni oltre che alle invarianze della narrazione artistica, purché rimanga «artistica» non solo di nome.

Ma per continuare ad occuparcene non possiamo non domandarci preliminarmente di cosa stiamo parlando quando ancora parliamo di “cinema”. Vedendo cosa è diventato, dobbiamo chiederci, ad esempio, se ci interessa considerare i video «amatoriali» di persone che parlano e si esibiscono davanti a uno schermo, o i video «professionali» che assomigliano a riprese di videogiochi e che costituiscono solo una piccola parte di un più vasto progetto per il mercato dell’intrattenimento.

Ora più che mai è diventato necessario chiederci cosa intendiamo con la parola “cinema”, dal momento che essa – con l’ormai imminente sparizione della pellicola, delle cineprese e dei relativi proiettori, nonché delle sale – non è più collegabile a quelle tecnologie e a quei media con cui il cinema è nato ed è stato realizzato per un secolo. Perché allora non cogliere l’occasione – provocata da una inevitabile transizione – per domandarsi quali siano le regole di questo gioco bellissimo che molti hanno giocato e che tantissimi continuano a giocare con i telefonini, ma che pochi hanno saputo praticare davvero bene regalandoci opere potenzialmente immortali?

Un famoso regista tempo fa si chiedeva provocatoriamente se “filmare” qualunque cosa per tutto il giorno con un ipertecnologico videotelefonino fosse da considerare equivalente a “fare un film”. Allo stesso modo ci è apparsa provocatoria la proposta politica di considerare ogni blog come una pubblicazione letteraria al pari di un romanzo edito in forma di libro, e dunque da trattare con gli stessi diritti e doveri.

In questa situazione caotica vale la pena, secondo noi, di cercare di capire quali siano i limiti, le specificità, le radici, nonché le eredità del «cinema in forma artistica», proprio perché la sua stessa sopravvivenza non è garantita, e la sua trasformazione sotto molti aspetti è ormai in corso.                                             

Se vi state domandando perché mai, allora, vi invitiamo a studiare opere del passato, piuttosto che quelle opere del presente che, pur con fatica, cercano di reggere il confronto con altre opere destinate al mercato dell’intrattenimento, la prima risposta è che, studiando quei capolavori, emerge con maggior chiarezza cosa fosse il cinema e come si potesse fare arte con il cinema anche rispetto alla produzione televisiva, che allora era il canale privilegiato per la distribuzione della strabordante cultura di massa, prima che autori come Roberto Rossellini  coniassero l’espressione “fare cinema per la televisione”. In quelle opere c’è la chiave per comprendere come si possa evitare di «ridurre» il cinema a uno dei tanti mezzi per produrre cultura di massa, trattandolo solo come un «fumetto animato e più realistico» (vi sarete accorti che da anni il cinema produce soprattutto film dedicati ai supereroi dei fumetti) o come un «videogioco non interattivo» (vi sarete accorti che il cinema ora è usato soprattutto come trailer di videogiochi o come videogioco per pigri).

La seconda risposta è che per capire come fare arte in ogni sua forma, compresa quella audiovisiva, occorre andare a studiare le opere di coloro che hanno saputo farla al meglio, anche perché, a differenza di altri autori, essi hanno saputo trarre insegnamenti metodologici dalla riflessione sui principi universali della narrazione, sulle soluzioni più raffinate elaborate dai propri maestri, e sui mezzi espressivi utilizzati per fare arte.

D’altro canto anche per quanto riguarda il teatro musicale potreste ugualmente chiedervi perché mai si dovrebbe studiare come farlo se non se ne fa più, se non come orrida attualizzazione e manomissione di capolavori di un passato a cui non si sa più dare una degna continuazione.

Le risposte che ci diamo e vi diamo sono le stesse che ci spingono a continuare pazientemente la nostra attività di «tessitori». Noi riteniamo più che mai necessario, ora, tornare a seminare e a formare, perché nei tempi che occorreranno per ricucire lo strappo con la tradizione umanistica – oggi persino deplorata e condannata come una vergogna – possano tornare a nascere nuovi artisti capaci di fare arte con ogni forma espressiva. La narrazione in forma audio-visiva è una di quelle forme, non la più longeva e non la più raffinata, ma certamente una di quelle che ci ha affascinato di più, perché l’abbiamo vissuta quando si è affermata, sia pure come succedaneo di altre forme di narrazione e dell’arte narrativa in generale. E abbiamo continuato a studiarne le vette più alte raggiunte dai pochi artisti che l’hanno praticata, persino quando la cultura di massa se n’è appropriata cancellando la lezione della prima generazione dei maestri (i maestri del “segreto perduto” come direbbe Truffaut) e ha fatto del cinema uno strumento di dozzinale intrattenimento per guadagnare tanto sfruttando il bisogno di stordimento (al pari dell’alcool) dei poveri alienati da una educazione non più umanistica e da una diffusione di informazione senza qualità attraverso i mass-media.

Anche nel cinema ci sono stati pochi ma importanti autori che sono riusciti fino a poco tempo fa (alcuni, pochissimi, persino ora)  a realizzare con scarse risorse grandi capolavori che ci illuminano sulle possibilità di questo mezzo, che ora è persino più facilmente gestibile ed economicamente accessibile, ma non per questo più promettente di altri riguardo all’eventualità di regalarci nuovi capolavori, perché sono sempre meno i veri artisti in grado di crearli.

Se un tempo non troppo lontano autori di formazione umanistica come Orson Welles riuscivano a regalarci capolavori ottenuti sfruttando al meglio le poche risorse di cui disponevano (cinepresa e pellicola e centralina di montaggio 16 millimetri, qualche amico disposto a recitare al minimo salario sindacale, ma non per questo impreparato, scenografie naturali …), ora le possibilità di girare a basso costo e realizzare un piccolo o grande capolavoro continuano ad esserci, e sono racchiuse nella tecnologia di un videofonino e di un personal computer. Ma mancano gli autori in grado di farlo. E per essere dei bravi autori, ora più che mai è evidente che non serve essere degli acrobati della macchina da presa, ma dei bravi narratori e compositori capaci di raccontare bene una bella storia, cioè di elaborare a tale scopo soluzioni che sfruttino complementarmente le differenti qualità dei diversi piani narrativi ed espressivi. Il fallimento di tanti colossi cinematografici e televisivi è da imputare non tanto ad attori e registi o pubblicitari più o meno capaci, quanto piuttosto alla mancanza di una sceneggiatura adeguata. Lo si può scorgere chiaramente nella fine che fanno le serie quando, dopo una o più stagioni, vengono condannate ad una rapida fine togliendo ad esse la macchina che le faceva funzionare: gli autori.

Non dimenticate quello che ci raccontava Hitchcock a proposito del suo lavoro, che secondo lui consisteva nell’«ideare», fino all’ultimo dettaglio, il «progetto narrativo» pensato per immagini in movimento, con o senza parola, ma mai senza musica; poi per lui bastava solo «realizzarlo». E altri autori, per queste stesse ragioni, hanno persino lasciato ai fidati collaboratori il compito di realizzare il loro progetto.

Ora provate a pensare cosa vi occorrerebbe sapere fare per realizzare un film in forma artistica; e chiedetevi cosa mancherebbe al vostro risultato per rendere virtualmente orgoglioso di voi un maestro come Chaplin, Lubitsch, o Hitchcock.

Ebbene, mentre potete trovare ovunque e facilmente quelle informazioni e quella formazione tecnologica che, come diceva Rossellini, si apprendono in breve proprio come si impara a usare una penna stilografica … scoprirete che non è affatto facile trovare chi vi insegni ciò che fa la differenza tra «filmare» e «filmare come lo farebbero» quegli autori che abbiano citato, cioè autori capaci di progettare un capolavoro della narrazione in forma audiovisiva che possa superare ogni confine di spazio, tempo e forma mediale; un capolavoro potenzialmente immortale, a meno che qualcuno, per ignoranza o invidia, lo lasci all’incuria del tempo, lo perda accidentalmente, o lo distrugga.

Noi ci occupiamo esattamente di come i più grandi autori riescano a fare ciò che sanno fare meglio: la narrazione artistica, cioè creare capolavori senza tempo e senza frontiere con ogni forma espressiva. Alcuni vi diranno che quel che noi vogliamo insegnarvi non si può insegnare; ma domandatevi come lo hanno appreso loro, gli autori di cui ci occupiamo, e chiedetevi come mai Billy Wilder aveva appeso sopra sua scrivania un cartello che gli ricordasse, ad ogni scena che scriveva, «come lo avrebbe fatto il suo maestro Ernst Lubitsch».

Proprio perché stiamo vivendo questa situazione di degrado che non ha precedenti, neppure subito dopo le due guerre mondiali che hanno contribuito a crearla, siamo più che mai convinti che ora occorra investire nella formazione, a livello educativo e a livello professionale, per far nascere nuovi artisti e per portare la loro preparazione al livello dei maestri; di quegli autori, cioè, che rischiano di essere dimenticati dopo che sono stati sostituiti con quei «re travicelli» che non hanno nulla da insegnare se non la fortuna di essere nati sotto una buona stella, di aver avuto qualche protettore per realizzare cose che, se non fossero state finanziate, non avrebbero consentito loro di continuare la loro irresistibile ascesa nel mercato dell’intrattenimento; almeno fino a quando verranno anch’essi sostituiti, da altri fenomeni di costume a cui verrà affidato il compito di sfornare nuovi successi stagionali senza qualità.

Anni fa ci fu offerta la possibilità di realizzare uno dei due Sistemi di Studio Reticolare che ora cercheremo di portare a termine, in questa sezione della Bottega Auteurstudio, per farne gli strumenti più idonei della nostra nuova Scuola di formazione per artisti della narrazione. Il nostro potenziale partner era una prestigiosa Università americana, nota anche per ospitare una delle Scuole di Cinematografia più famose al mondo. Ma pur dichiarandosi molto interessata al nostro lavoro, ci proponeva di entrare in partnership senza alcun investimento produttivo e solo dopo che noi avessimo realizzato il Sistema a nostre spese, per curarne la distribuzione e dividere i guadagni. Così, come per altri progetti, ci trovammo di fronte a un impegno economico superiore alle nostre forze. Ma realizzammo comunque un modulo esemplificativo e un trailer, per promuovere il Sistema, che troverete nella pagina dedicata al Sistema stesso.

Nel trailer domandavamo ai nostri potenziali allievi da chi avrebbero preferito imparare a narrare utilizzando le immagini in movimento; inoltre chiedevamo che tipo di successo avrebbero preferito ottenere, se quello stagionale dei fenomeni di costume legati al proprio tempo, o se invece quello degli autori che hanno raggiunto l’immortalità divenendo dei «classici» anziché dei fenomeni di culto e di moda. Ora riproponiamo il dilemma anche a voi. E se siete convinti che valga la pena investire in una formazione metodologica per apprendere la lezione racchiusa nei capolavori classici di ogni tempo e luogo, allora inizieremo a offrirvi – attraverso i nostri Ambienti di Studio – i risultati che abbiamo già ottenuto e che continueremo ad ottenere lavorando con i nostri collaboratori  – e con chi di voi vorrà offrirci aiuto – in questo Laboratorio dedicato alla narrazione audiovisiva in forma d’arte.

Come per le altre Botteghe assumeremo come tutor virtuali quelli, tra i più grandi autori, che riteniamo potranno essere i migliori maestri per noi e per voi, per poter ricavare dalle loro stesse opere preziosi insegnamenti metodologici di validità universale. In questa sezione in particolare lavoreremo non solo sui loro capolavori ma anche sui loro studi analitici e progettuali, lasciatici in forma di saggi e interviste, e correleremo sistematicamente le scene dei loro capolavori alle loro riflessioni su di esse, per estrarre la lezione di metodo implicita nelle loro soluzioni e resa più esplicita dai loro metadiscorsi sul narrare in forma cinematografica.

Lo studio sistematico che condurremo sui testi e i metatesti di questi autori ci consentirà di realizzare Sistemi trasversali in grado di farvi viaggiare tra opere di grandi narratori lontani nello spazio e nel tempo, per riconoscere i contributi a una ricerca comune, le eredità metodologiche, le collaborazioni a distanza e le variazioni su modelli condivisi. Inoltre ognuno dei Sistemi che realizzeremo in questo Laboratorio vi consentirà di esercitarvi a fare quanto esemplificato da questi autori-studiosi, imparando voi stessi a connettere le riflessioni teorico-metodologiche degli autori-studiosi alle soluzioni da loro elaborate, riconoscendole come diverse applicazioni dei medesimi principi nei loro capolavori.

Come scoprirete entrando nelle articolazioni di questa sezione della Bottega, abbiamo in mente di realizzare entrambi i progetti che abbiamo ideato e per i quali abbiamo ricercato partner istituzionali in anni e anni perdendo tempo in interminabili gestazioni. Ora li realizzeremo senza altro aiuto che il vostro, e mostreremo quanto questi progetti possano migliorare la formazione di coloro che vogliono imparare l’arte della narrazione usando uno strumento, il cinema, che sempre meno è usato a tale scopo.

La maggiore novità dei Sistemi che sono sviluppati in questa sezione della Bottega è che essi si occupano direttamente della questione metodologica,  subordinando ad essa gli autori e le opere, per far emergere le costanti nei modi di raccontare, i principi narrativi e le soluzioni inventate, adottate, e definite dagli autori-studiosi. Questa novità si coglie maggiormente confrontando questi nuovi strumenti di studio con quelli disponibili sulla medesima materia, il cinema.

Storia e tecnologia sono ancora le prospettive più comuni con cui si insegnano le materie che sono oggetto di studio dalla scuola di base a quella professionale, soprattutto in un Paese come il nostro che ha rinunciato alla propria tradizione umanistica, se non come attrazione per turisti, e in un’Europa che ha perso la sua connotazione di Comunità di menti intorno a grandi progetti, per diventare un consorzio di banche. Ma noi continuiamo a mostrare che c’è una terza prospettiva, che se venisse adottata a cominciare dalla scuola di base, contribuirebbe a migliorare la formazione umanistica degli allievi e a ridare vita alla tradizione umanistica stessa: studiare il metodo, il modo con cui si fanno le cose, quell’insieme di capacità la cui acquisizione è oggi affidata alle risorse del singolo, e che, in mancanza di bravi maestri, è sostituita dal dilettantismo e dal pressappochismo.

Con questi Sistemi vogliamo creare strumenti per far acquisire ai nostri allievi un bagaglio di insegnamenti che è ancora racchiuso in opere che aspettano di tornare a svolgere la loro funzione di esempio e di palestra per lo sviluppo e l’esercizio delle capacità elaborative. Attraverso i Sistemi vogliamo mostrare come su di esse, nel loro studio, si possano esercitare le medesime capacità con cui sono state create, trattandole come oggetti ideali da indagare ed esplorare nelle interne ed esterne correlazioni, per scoprire i meccanismi che li attraversano collegando opere anche distanti nel tempo e nello spazio come parenti lontani, come varianti di medesimi modelli logici che vanno di nuovo riportati alla luce affinché gli aspiranti autori possano ispirarsi ad archetipi artistici immortali, anziché imitare stereotipi e cliché dovuti alla cultura di massa.

Con i progetti che svilupperemo in questo Multilaboratorio contiamo di dare alla luce due degli strumenti più ambiziosi che abbiamo pensato negli anni con l’aiuto indiretto degli «autori-studiosi» che coinvolgeremo virtualmente come maestri per noi e per voi.

Ma perché questi progetti possano finalmente vedere la luce abbiamo bisogno del vostro aiuto oltre a quello dei nostri vecchi e nuovi collaboratori, ogni aiuto che potrete darci per consentirci di realizzare gli strumenti che potrete avere a disposizione nei nostri ambienti di studio per voi e per i vostri figli.

 

I Manuali di Studio Reticolare

 

Truffaut Hitchcock: Il dialogo ininterrotto di due autori studiosi sul cinema e attraverso il cinema

Vai al Laboratorio

Un manuale implicito di narrazione audiovisiva trasformato nel primo manuale reticolare e multimediale dedicato all’arte cinematografica

Questo progetto è uno di quelli a noi più cari perché è nato con noi, con i nostri primi passi nell’editoria multimediale e nella ricerca intorno a nuovi strumenti per insegnare la lezione dei maestri. La storia di questo progetto ripercorre la nostra stessa storia e attende da anni una degna realizzazione. Ora finalmente anche le tecnologie si sono rese più adatte alla sua attuazione e speriamo di poterne accelerare lo sviluppo.

 

Il Segreto ritrovato: a lezione dagli auteurs per imparare come fare arte con il cinema

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Un manuale per imparare a controllare tutti gli aspetti e livelli, ideativi produttivi e promozionali, che nessun autore dovrebbe lasciare ad altri o al caso

Questo progetto è il risultato di anni di tentavi di collaborazione con Enti interessati al solo sfruttamento commerciale dei risultati, a nostre spese; ma averlo ideato ci permette ora di poterlo trasformare in Cicli di lezioni e in Sistemi di Studio Reticolare adatti ad una distribuzione completamente online, rivolta a utenti che vogliano apprendere la lezione dei maestri e scoprire come loro realizzerebbero un racconto artistico in forma audiovisiva per aggiungerlo alla loro opera immortale.